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Una causa amministrativa lunga 16 anni

Secondo il Rapporto OCSE sulla giustizia civile del giugno 2013, in Italia (ultima in classifica in Europa) la durata media di un processo in tutti i suoi gradi di giudizio è di 8 anni a fronte di 2 anni in Svizzera e ancor meno in Giappone.

Il processo che qui evidenziamo, invece, è durato il doppio: 16 anni (dal 1997 al 2013). Ed ha avuto come protagonisti un Comune siciliano e un’impresa che al momento dell’ultima sentenza aveva oramai cessato l’attività, tanto che i benefici dell’esito vittorioso della causa sono andati a un ex socio.

Riteniamo che questa vicenda giudiziaria, seguita dal nostro Studio dal primo all’ultimo pronunciamento, sia emblematica e rappresenti un monito per coloro che si rivolgono agli avvocati chiedendo di far causa a destra e a manca senza capire cosa li aspetta in termini di esborsi e di pazienza e l’impegno professionale necessario per l’affermazione (non sempre) dei loro diritti.

La straordinaria durata di questo giudizio non è dovuta solo alle deficienze, oramai a tutti note, della giustizia italiana. Anzi, il suo svolgimento innanzi al TAR ed all’unico organo d’appello in ambito amministrativo che in Sicilia è il CGA (in pratica una Sezione staccata del Consiglio di Stato di Roma) ha determinato tempi decisori di ciascuna fase tutto sommato accettabili. Il fatto è che stavolta l’impresa e il privato cittadino suo avente causa si sono trovati come avversaria una Pubblica Amministrazione che ha utilizzato tutti, nessuno escluso, gli armamentari oppositivi messi a disposizione dai codici di procedura.

Questa la sintesi dei fatti:

–  Nel 1997 un’impresa di costruzioni partecipa a un appalto indetto da un Comune e vedendoselo aggiudicare a un prezzo errato ricorre al TAR che le dà ragione con Sentenza n. 1706 del 1997.

–  Contro questa Sentenza il Comune interpone un primo appello al CGA che viene respinto con Sentenza n. 334 del 1998.

–  Sembra tutto finito. Invece nel frattempo il Comune aveva riaperto la gara riaggiudicandola a un’altra concorrente, rendendo così necessario per l’impresa un altro ricorso, chiamato straordinario, che dopo il Parere n. 155/1999 delle Sezioni Riunite del CGA verrà definito con Decreto n. 578 del 2000.

–  A causa del tempo trascorso, però, il finanziamento viene revocato e all’impresa non rimane che chiedere il risarcimento danni. L’apposito ricorso viene depositato nel 2001 e a seguito di istruttoria il TAR lo definisce, dando ancora una volta ragione all’impresa, con Sentenza n. 1516 del 2009.

–  Ma il Comune non esegue nemmeno quest’altra Sentenza, obbligando perciò uno dei soci (l’impresa nel frattempo ha chiuso) a proporre un quarto ricorso al TAR – chiamato, per l’appunto, di ottemperanza – che viene ancora una volta accolto con Sentenza n. 2647 del 2010.

–  Sembra di nuovo tutto finito. Invece il Comune appella la Sentenza presupposta a questa di ottemperanza ottenendo pure che l’esecuzione venga provvisoriamente sospesa fino al pronunciamento CGA di rigetto dell’appello  che arriva con Sentenza n. 344 del 2011.

–  Ancora una volta sembra tutto finito ma non è così. Il Comune, infatti, impugna pure quest’altra Sentenza con lo strumento eccezionale della Revocazione, previsto per evenienze molto rare, e ottiene un’altra sospensione. Tutto resta, perciò, nuovamente fermo fino alla definizione  del giudizio di Revocazione ad opera del CGA che si chiuderà (e stavolta la soccombenza del Comune è definitiva) con Sentenza n. 163 del 2013.

*

Nei principali pronunciamenti della causa, accessibili in formato PDF, si potranno rinvenire i non pochi principi di diritto che sono stati applicati alla controversia mentre i non addetti ai lavori potranno trarre cognizione (specialmente dalla narrazione in fatto contenuta in una Memoria difensiva tra le tante depositate) di quel che significa per i privati cittadini avere a che fare in giudizio con una Pubblica Amministrazione particolarmente… coriacea (nel 2018 verrà, addirittura, sciolta per mafia).

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